venerdì 17 ottobre 2008
SO
So che non serve ricordarci,
so che tutto è rimasto dentro di noi,
sospeso nel vuoto che abbiamo voluto,
che abbiamo fortemente riempito di lontananze,
di voli lontani in direzioni diverse.
So che mi hai allontanato,
nella speranza che almeno io potessi essere felice,
So quanto ci è costato,
quanto ha condizionato comunque la nostra esistenza.
So che le tue parole quel giorno da dietro le sbarre lacrimavano,
gocce invisbili che i tuoi occhi non sanno più dare,
non ne erano capaci neanche allora.
Ma siamo stati incapaci di innalzare un muro che ci proibisse lo sguardo,
quasi mutilando i nostri cuori,
tenendone cara quella parte che è nostra e sempre lo sarà.
So che le distanze hanno addolcito la malinconia,
quelle distanze che all'inizio ci avevano fatto pensare a una breve avventura.
Distanze che siamo riusciti a piegare.
Ogni volta che ci rincontravamo sembrava nulla fosse cambiato,
ed in effetti era così.
So che siamo riusciti a far risplendere quel nero che ci accomuna,
a fare unire le nostre ombre dentro situazioni di disagio.
La nostra cucciolina tedesca,disorientata.Lucy.
Ancora un tonfo al cuore in quella notte tedesca,quando la polizia ce la tolse dalle mani.
So che entrambi abbiamo sperato in un pò di luce,
so che mai siamo riusciti a vederla,
so che abbiamo tentato,forse mettendoci una maschera per non riconoscerci,
mentre in realtà era solo Noi che volevamo.
So che l'ultima volta che ci siamo visti abbiamo dato il meglio di noi stessi,
lontani dal mondo reale,
abbracciati in una fredda notte di Novembre a Skagen,
parlavano solo le onde del Balico ,
abbiamo rinunciato ad una facile notte in un letto caldo,
come a sospendere nell'eterno l'unione di un vichingo e la strega del vento.
Eppure sembrava tutto fatato.
Come quel risveglio col suono del piano.Come in un mondo di sogno,con la mia certezza che eri tu a suonarlo,come se le note mi avvolgessero nel nostro abbraccio notturno.
La mia compagna di viaggio,un pò risentita,forse anche un pò gelosa decise di rimanere a Copenaghen.Non volle viaggiare con Noi alla scoperta della tua terra,delle sue pianure,dei suoi pascoli.Io egoisticamente ti seguii senza pensarci,non avevo dato illusioni o aspettative.
La prima meta fu Arus,la tua città Natale e quella di Peter tuo fratello.
Che dolce ricordo quello della casa della tua bisnonna.
Di come ci accolse completamente incurante del nostro vestire,fatto realmente di stracci e stranezze.
Corresti in mansarda,in quella casa che ti aveva allevato,lontano dai tuoi genitori,per il miser destino che ti era assegnato.
La ssù sotto il tetto apristi quella cassa,piena di antichi vestiti,che maneggiavi come quelli di una bambola,mentre in realtà la bambola eri tu e i ricordi parlavano dei tuoi travestimeti nascosti.
Mentre la tua bisnonna ci chiamava per il te cadeva lentamente il vestito nero,iltuo preferito ,che avevi indossato.
Con i suoi ricami traforati che accarezzavano il tuo corpo,sostituiti dalle mie mani che lo bramavano,da quell'istinto animale che sempre ci ha legati.
Bevemmo il te ormai freddo.La tua ava mi guardava ridendo,notando il mio interesse ate,non riuscivo a staccarti gli occhi da te,mentre nell'aia bianche oche dalle piume preziosa suggevano bacche di ribes.
Come sugellatore della nostra unione,la lingua di un vitello che continuava a splamare saliva sulle mie carezze e da quel momento quella che era stata solo una partecipazione spesso lontana alla rivolta,perso in schiavitù del volere di ebrei,sentii tra le dita qualcosa che vibrava,come una flebile fiamma di una candelache colava cera come sudore di genti oppresse.
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Ehi,tu che ti senti colpito da quello che scrivo,tu che a volte ti senti il bersaglio delle mie lame...
sappi che la cosa mi fa molto piacere