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PECE

PECE
La logica si infrange quando non si ha voglia di staccarsi, quando il bisogno e' quello di rimanere aggrappati

ANOMALIE ARMONICHE

ANOMALIE ARMONICHE
SE lO RITIRNI NECESSARIO SONO, MMMMM, SIAMO ANCHE QUI

giovedì 26 maggio 2011

L'Aquila

Poiché discendevo i Fiumi impassibili,
mi sentii non più guidato dai bardotti:
Pellirossa urlanti li avevan presi per bersaglio
e inchiodati nudi a pali variopinti.

Ero indifferente a tutti gli equipaggi,
portatore di grano fiammingo e cotone inglese
Quándo coi miei bardotti finirono i clamori
i Fiumi mi lasciarono discendere dove volevo.


Nei furiosi sciabordii delle maree
l'altro inverno, più sordo d'un cervello di fanciullo,
ho corso! E le Penisole salpate
non subirono mai caos così trionfanti.

La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli.
Più leggero d'un sughero ho danzato tra i flutti
che si dicono eterni involucri delle vittime,
per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari!

Più dolce che ai fanciulli la polpa delle mele mature,
l'acqua verde penetrò il mio scafo d'abete
e dalle macchie di vini azzurrastri e di vomito
mi lavò, disperdendo àncora e timone.

E da allora mi sono immerso nel Poema
del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
divorando i verdiazzurri dove, flottaglia
pallida e rapida, un pensoso annegato talvolta discende;

dove, tingendo di colpo l'azzurrità, deliri
e lenti ritmi sotto il giorno rutilante,
più forti dell'alcol, più vasti delle nostre lire,
fermentano gli amari rossori dell'amore!

Conosco i cieli che esplodono in lampi, e le trombe
e le risacche e le correnti: conosco la sera
e l'Alba esaltata come uno stormo di colombe,
e talvolta ho visto ciò che l'uomo crede di vedere!

Ho visto il sole basso, macchiato di mistici orrori, illuminare lunghi filamenti di viola,
che parevano attori in antichi drammi,
i flutti scroscianti in lontananza i loro tremiti di persiane!

Ho sognato la verde notte dalle nevi abbagliate,
bacio che sale lento agli occhi dei mari,
la circolazione di linfe inaudite,
e il giallo risveglio e blu dei fosfori cantori! [...]

Ho visto fermentare enormi stagni, reti
dove marcisce tra i giunchi un Leviatano!
Crolli d'acque in mezzo alle bonacce
e in lontananza, cateratte verso il baratro!

Ghiacciai, soli d'argento, flutti di madreperla, cieli di brace!
E orrende secche al fondo di golfi bruni
dove serpi giganti divorati da cimici
cadono, da alberi tortuosi, con neri profumi! [...]

Quasi fossi un'isola, sballottando sui miei bordi litigi
e sterco d'uccelli, urlatori dagli occhi biondi.
E vogavo, attraverso i miei fragili legami
gli annegati scendevano controcorrente a dormire!

Io, perduto battello sotto i capelli delle anse
scagliato dall'uragano nell'etere senza uccelli,
io, di cui né Monitori né velieri Anseatici
avrebbero potuto mai ripescare l'ebbra carcassa d'acqua

libero, fumante, cinto di brume violette.
o che foravo il cielo rosseggiante come un muro
che porta, squisita confettura per buoni poeti,
i licheni del soie e i moccoli d'azzurro;

io che correvo, macchiato da lunule elettriche,
legno folle, scortato da neri ippocampi,
quando luglio faceva crollare a frustate'
i cieli oltremarini dai vortici infuocati;

io che tremavo udendo gemere a cinquanta leghe
la foia dei Behemots e i densi Maelstroms,
filando eterno tra le blu immobilità,
io rimpiango l'Europa dai balconi antichi!

Ho veduto siderali arcipelaghi! ed isole
i cui deliranti cieli sono aperti al vogatore:
È in queste notti senza fondo che tu dormi e ti esìli, milione d'uccelli d'oro, o futuro Vigore?

Ma è vero, ho pianto troppo! Le Albe sono strazianti.
Ogni luna è atroce ed ogni sole amaro:
l'acre amore m'ha gonfiato di stordenti torpori.
Oh, che esploda la mia chiglia! Che io vada a infrangermi nel mare!

Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
nera e fredda dove verso il crepuscolo odoroso
un fanciullo inginocchiato e pieno di tristezza, lascia
un fragile battello come una farfalla di maggio.

Non ne posso più, bagnato dai vostri languori, o onde,
di filare nella scia dei portatori di cotone,
né di fendere l'orgoglio di bandiere e fuochi,
e di nuotare sotto gli orrendi occhi dei pontoni.

Il battello ebbro (rimbaud)

E' difficile tradurre in parole certe sensazioni e certe emozioni,anche se rimangono legate a noi,anche se non è un peccato dirlo,ne vieni a contatto direttamente,anche se le conoscevi già,il toccarle con mano non da conferme di cui hai bisogno,ma ti apre a mille visioni differenti ,ti presenta volti,suoni,grida,urla,pianti e silenzio.

Passeggiare per L'Aquila sgomenta,calando il peso delle sensazioni lungo il corpo e le labbra non si dischiudono a stupore,ma respirano il dolore.
In quella visione del nulla,fatto di facciate di palazzi,
che a vederli da lontano ti fanno dire che nulla è successo in fondo,mentre in realtà nulla sta succedendo dopo quello che è successo.
Sensazioni che si incrociano,il dolore di ogni passo calcato da chi vive e ha vissuto questa città,le pietre appoggiate l'una all'altra a ricordare ciò che è stato,
suoni silenziosi che attraversano i miei sensi,richiami,tra gli androni devastati,immagini di un passato prossimo,quando tutto era vivo e tremava nell'attesa del previsto,ma non detto.
Appoggiando le mani a quelle pietre,senti ancora il boato,che si fonde con le urla,con le risate dei bambini,con onde di vita quotidiana,col terrore ,che come un manto copre questi relitti alla deriva ,verso una meta difficile da raggiungere e la crudeltà della natura che sputa la sua crescita.

Una scossa e il terrore di chi ha vissuto,ritorna potente,pesante,schiacciante e rende inermi,immobili,nel ricordo della sua ineluttabilità,
della facilità con cui pochi minuti,possono portare via la storia.
Sembra di camminare tra i viali di una certosa,l'atmosfera non è differente,non è giudicabile,non è opinabile.
L'assurda gestione di demagogia di ricostruzione,non fa che sopire quegli animi,quei palazzi,quelle strade,invasi da popolazioni di altre nazioni,allo sciacallaggio su larga scala, agli appalti convenienti ,che non hanno colori o fedi politiche,nessuno escluso.
Eppure anche se è più facile dirsi,che farsi,la polemica non serve,c'è la necessità di ripartire,anche con l'amarezza che non sarà mai come è stata,in questa città che non è fantasma,si è voluta tale,come manifesto di un'operetta allegra,dove si rischia di annientare un popolo,farlo fuggire altrove per dimenticare.

lunedì 23 maggio 2011

BOUNDED

Un bosco che apre i suoi rami all'entrata di un altro,
tra aghi di pino,
profumati fiori d'acacia
e il cielo si scuote,
gocciolando lungo i bordi delle foglie il passato,
che ci scopre nello stupore delle sottili differenze,
che non si allontanano da questa empatia,
dal ritrovarsi specchiati su sfondi differenti,
boschi di mondi diversi che si uniscono,
allungando le mani lungo le creste dell'appennino
e fondendosi uno nell'altro,
nell'assordante tuono.
Si legano i pensieri,
si legano le distanze,
si intreccia la paura all'abbraccio
e il terrore stavolta non è lontano,
si scioglie nel calore di una notte.
Tutto rimane al di fuori,
nonostante spinga per entrare.
La vera paura è al brillare degli occhi,
profondi laghi neri che combaciano,
là dove il nero non assorbe la luce,
ma la riflette.
Lungo l'intreccio dell'appartenenza,
le gocce colanti del possesso,
che sbattono sull'acciao di un filo che attraversa lo spazio,
per saldare il mondo in un corpo indissolubile,
completamente irriverente allo sfoggio del fastidio,
al fondersi di energie ingestibili.
Scivola sulla punta di una lama a scrivere ciò che di noi è stato,
e sbatte sull'acciaio come su un gong
e i passi sull'anima hanno la nostra impronta
e la lama ne racconta il possesso.


E sulla pelle rimane il sapore,
dove la lingua cola l'odore
e nello spazio rimane il rumore,
dove il tuono ha fuso il clamore.



martedì 17 maggio 2011

Labbra nere

Si accavallano nei sogni, i ricordi,
intreccio di visi,di risa,di lacrime e urla,
nella spensierata innocenza di un bambino,
nella lacerante rabbia della crescita.

Quante volte cambia il sapore di questo viaggio nel passato.
Eppure ero,
eravamo sul tetto del mondo,da dove la gente sembra più piccola, i suoni giungono metallici e stonati tra il rimbalzare di facciate di palazzi e tutto sembra vada più veloce e a guardandolo adesso lo è veramente stato.

Ci piaceva salire le scale di quei palazzi,
che a quel tempo ci sembravano enormi,
come dritte pareti di montagne di cemento piantate nell'asfalto,
scivolavamo tra la biancheria stesa ,
ancora umida,
come fossero le nostre vele,le nostre ali e appena giravi lo sguardo ti trovavi nel bosco della collina
e seduto sul bordo dei cornicioni,riempivi quel vuoto col senso della tua conquista,di qualcosa che sapevi essere vietato,perchè pericoloso.
Mangiavamo un gelato che era completamente nero ,di cui non ricordo il nome.
Colando macchiava le nostre dita e sulle nostre labbra rimaneva la tinta ,scura e sbavata ,dolce.
Introvabili,liberi,e se fossero stati più alti avremmo raggiunto la vetta.

Poi ad ognuno di noi ,la crescita portò su percorsi differenti.
Chi si perse in gruppi distanti,chi cambiò abitazione,chi continuava a voler salire in alto,mentre in realtà non faceva altro che scavare sul fondo,dilaniandosi le vene e facendo finta di essere normale.
Non abbandonai mai i tetti,mi hanno sempre affascinato e ormai ero solo su quei cornicioni, da cui, seduto,vedevo muoversi quelli che ormai erano i ricordi di un saluto,il nascondersi alla realtà,il celarsi alla mia rabbia contro chi aveva deciso di morire.
Mi ero affinato e non erano più solo scale che mi portavano in cima,spesso salivo dalla parete delle case più basse,con le suole sui mattoni,bracciate di corda.
Non sempre mi sedevo a godermi il piccolo mondo là sotto.
Avevo fretta e là dove il mondo è popolato da ombre,meglio scegliere la luce per dissolversi nel vento o le notti senza luna.
E le mie labbra erano nere e il sapore era quello del sangue,che schizzava dai morsi di rabbia e ci sarebbe voluto il gelato,per raffreddarle.
Intanto il tempo si appropriava delle scelte di qualcuno di noi e sui tetti ne rimaneva solo il ricordo del suo viso da bambino e le lenzuola stese erano umide di lacrime,come se tutto questo avesse un senso.
Come se ogni volta che sentivi pronunciare i loro nomi, si aprisse la porta di una cantina buia,dove stivare i ricordi in scatole di cartone e riportarli in vita nel movimento dell'aria di pagine di fumetti sfogliate.

E i tetti cambiarono,diventarono barricate, da cui lanciare la propria rabbia verso i mulini a vento e scialavano nel tempo ,lasciando dietro di loro l'amara sconfitta di un'assurda lotta programmata,stampata sui sanpietrini,come denunce inutili e avidi progressi verso la vetta,verso il denaro ,in nome di quella che si credeva rivoluzione,mentre in realtà non era che l'implodere dentro se stessi,la propria rabbia,per alcuni vestendo maschere convenienti,per altri solo nello svestire quelle che non erano mai state le loro.
E a quel tempo non si distinguevano più le mie labbra nel nero e per trovare un pò della mia luce,dovevo guardare la mia ombra.

I tetti si restrinsero a quelli della mia casa,
alle notti insonni passativi sopra seduto nel silenzio,di suoni di grilli,di lento girare di gomme nell'asfalto,di luci vacue e lontane e del suono della pioggia grondante dai coppi.

E ogni tetto ha quel cornicione,
ha quelle lenzuola stese sbattute dal vento,
hai visi dei bambini perduti nel tempo.




A Marco,Maurizio e Nicola.

sabato 14 maggio 2011

Il silenzio del sospiro.


Sull'onda armonica delle parole portate dal vento,
i sensi si lasciano andare alla loro natura,
scivolando sulla pelle,
dentro l'anima,
abbracciando la nostra carne,
nutrendosene,
raccogliendo le gocce della nostra essenza sulla punta della lingua,
scivolando in una stretta che toglie il respiro.
Parole tatuate sulla pelle,
che riempiono i pori di emozioni,
graffiando sulle pieghe la loro pretesa
e si cerca di trattenersi,
di sviare il pensiero,
che imponente si impossessa della nostra anima,
spingendo sulle vene del desiderio
e le labbra si schiudono dallo stupore
e colano le sensazioni su stoffe,
che altre tengono premuto.

E i sensi allora fluiscono come una piena,
rapendo ogni parte di noi
e ogni istinto è proteso al piacere dell'altro,
mentre le dita lasciano passi sull'anima a proseguire.
E i suoni rimangono sordi al di là di quel mondo,
le luci sbiadiscono i contorni,
mentre le nostre anime parlano strisciando una sull'altra,
avvolte da unghie,
che segnano il possesso
nel silenzio del sospiro.



venerdì 6 maggio 2011

evil

Nella notte,
quando l'energia si calma e si appoggia lentamente sull'erba croccante di un prato,ti rivedo apparire tra quelle stanze vuote,che fuggi ogni istante ai miei occhi aperti.
E nel mio sonno ti aggrappi alla pelle,tirandola sino quasi a strapparla e assorbi energia dal mio corpo vivo,incapace di affrontarmi al di là di quell'orizzonte,che mi precludi alla vista con l'ombra di un tempo antico.
Stato,è,sono.
Mi chiedo spesso perchè non riesco a vedere il tuo volto,non riesco ancora a capire,se ti nascondi,se temi di esser veduto o più semplicemente rifletti solo me stesso.
Ogni pretesto per potermi anche solo avvicinare,infastidire,lo fai tuo.
Sull'ombra delle maledizioni,dei desideri vietati,del reclamare qualcosa che è solo mio e che altri pretenderebbero essere loro.
E sfrutti quell'energia, che tutto questo muove,
come cavalcando la cresta di un onda,per tuffarti dentro il mio essere e rapire ciò che puoi.
Ti trovi spiazzato dalla mia non paura,dai passi che continuo a solcare,dal soffiare del vento,dal continuo riemergere dal nero, che mi avvolge.
Eviti l'asfalto,come hai sempre fatto,dentro quell'ombra che è tua,che non riflette la luce ,ma la assorbe e con essa la vita.
E ci sono persone, che continuano a pensare che la parola fine sia solo un'utopia,che io possa girare le mie spalle indietro e smuovono maledizioni,con il loro inutile insistere,coi loro richiami nel tempo e dirigono tutto verso chi pensano essere più debole,alla ricerca dell'improbabile,che assicuro essere impossibile.
Io ,che mi guardo allo specchio vedendo la mia schiena,che sono attratto dal dolore,che tu sfrutti come esca appena se ne presenta l'occasione,sapendo che sotto tutta la montagna della mia presunzione,continua a scaldare la sensibilità,anche se silenziosa,strafottente nel mio essere,ma non sorda ne cieca.
E continui a morderti le labbra,ricordando quel tempo,in cui la mia rabbia gettava energia nell'aria,dilatando la mia pelle nei tagli,cadeva grondando dalla moto e ciò che non rimaneva protetto dal mio bosco era tuo.
Eppure lasci andare ancora,queste orde di spettri vaganti,che graffiano la mia pelle,che attendono il momento per potersi aggrappare.
C'è come una lastra invisibile che ci divide,oltre la quale posso sentirti anche se non vederti,
oltre la quale non ti azzardi a venire,perchè è dove il mio passato vive,parla una lingua che non conosco,
ringhia nell'aria il suo ghigno e zittisce il silenzio.
So che amavi le mie lame,quando il loro taglio era doppio e potevano attaccare e le usavo su me stesso.
So che dovresti essere tu che mi cerchi ed io a sfuggirti.
Ma vedi,
dovrei girarmi indietro per vedere dove sei,
preferisco guardare avanti,per sorpassarti.




martedì 3 maggio 2011

Senza tempo

Le lettere prendono forma,
ne segue il suono trasportato dal vento.
E i sensi si sciolgono lasciando le due dimensioni
e le parole hanno un odore,
lasciano il sapore sulle labbra,
mentre gli occhi parlano e le dita toccano.
Basta uno sguardo,
un sorriso da una sedia su un tavolo
e ti scopri senza tempo.
Le mani cercano il contatto,
che l'emozione conduce,
là dove il sole che tramonta filtra dalle finestre,
dove i corpi si incontrano,
si cercano.
E il silenzio parla sulle labbra,
battuto dai sospiri
e la brama avvolge ciò che rapisce.
I corpi si distendono sul desiderio,
in questa danza di stoffe,
che scivolano sulla pelle,
mentre le unghie la solcano leggermente
e i bottoni si liberano
ed è musica di sguardi che attraggono,
che sfidano,
che si chiudono al piacere.
Slacciano gli ultimi legami,
per saldare quelli del possesso
e la pretesa diventa esigenza
e il tuo piacere,
il mio
e il mio,
il tuo,
scorrendo sulle labbra il sapore
in un sospiro di pace.
Ed ogni passo diventa senza tempo,
senza inizio,
senza fine.
Ed ogni passo è un crescendo,
che completa.