Sento. Non so perchè. Eppure le sensazioni sono forti. E le lascio andare,ne godo,ne soffro,alcune antiche,altre future,ma la maggiorparte presenti. Basta una parola,detta,scritta per confermare la sensazione.
Torno indietro nel tempo,anche su questo blog, sorrido al mio sguardo a Sud, eppure è stato da subito così. Ma è ora di dominarle, perchè è vero che il tuo soffrire e il tuo star male è la mia debolezza e la mia debolezza diventa la tua morte. E non ci sono lupi,fate,elfi,gnomi,diavoli, è semplice reale realtà.
Confusa,complicata,ma reale. Oren dove sei? Ssst.Sono qua, più forte che mai.
giovedì 30 luglio 2009
Libera. Ancora sussulto a questa parola. Tra la sera di una luna nascosta all'odore del mare, al vento leggero tra i capelli. Guardarti solcare le piccole dune di sabbia mentre mi raggiungi. Mentre le mie mani lasciano scivolare la sabbia sui castelli in aria. Abbracciarti.
Libera. Mano nella mano passeggiare sulla riva e lasciare che le nostre parole si muovano senza paura di incomprensione, leggere. Ai tuoi piedi che le mie mani accarezzano, mentre ci perdiamo nel momento, confusi, dopo tanto tempo, lasciamo che tutto entri e viaggi libero dentro di noi. Persi in un dente di ambra, nel suo significato poi ritrovato.
Emozione di un'atmosfera nuova, il mare, la sera, poi l'incontro con due cani al calare del sole. La magia di un momento sulla bassa cresta dell'onda del vespro, nel suono sulla riva del desiderio. Baci frenati. Labbra che si incontrano, si uniscono come l'onda entra nel mare tra i caldi contorni della tua bocca, che affonda nella mia. Scende sul collo sfiorando col naso il tuo profumo, là, a cavallo dello scafo di un natante. Silenzioso contenersi tra le parole che racchiudono il mondo di tre puntini. Quante parole, semplicemente senza bisogno di doverle districare come è facile comprendersi fra di noi, come pensare che l'acqua è nel mare. Poi arriva quell'ora, la campana suona, la carrozza ritorna zucca, i cavalli topi, ma noi rimaniamo sempre noi.
Libera. Sussulto ancora a sentire questa parola.
martedì 28 luglio 2009
L’ALBATRO
Spesso, per divertirsi, le ciurmeCatturano degli albatri, grandi uccelli marini, che seguono, compagni di viaggio pigri, il veliero che scivola sugli amari abissi. E li hanno appena deposti sul ponte, che questi re dell’azzurro, impotenti e vergognosi, abbandonano malinconicamente le grandi ali candide come remi ai loro fianchi. Questo alato viaggiatore, com’è goffo e leggero! Lui, poco fa così bello, com’è comico e brutto! Qualcuno gli stuzzica il becco con la pipa, un altro scimmiotta, zoppicando, l’infermo che volava! Il poeta è come il principe delle nuvole Che abituato alla tempesta ride dell’arciere; esiliato sulla terra fra gli scherni, non riesce a camminare per le sue ali di gigante. Una giornata senza lame, riposte nel loro fodero, teso ad ascoltare il silenzio.
Ma il riposo è breve, ora sguainate luccicano nel buio, carezze delle tenebre e non bastano tappi di sughero per fermare il loro andare, chi nell'ombra si nasconde cerca la luce di un mondo solo suo e continua irrimediabilmente a mordersi la coda. Chi nell'ombra ci vive possiede luce propria e quando l'anima è nera, non puoi vederla, non puoi capirla. Ehm chiedo scusa al signor Carlo B.
Il canarino
Spesso ,per divertirsi, le ciurme catturano dei canarini, piccoli uccellini da gabbia, che seguono,compagni di viaggio inani, il vento che alza la loro vela sulla banderuola stanca. E li hanno appena deposti sul ponte, che questi simpatici uccellini, impotenti e vergognosi, abbandonano le loro ali incapaci di volare, come navi alla fonda. Questi buffi viaggiatori,come sono goffi e leggeri! Lui che si fa così bello,com'è comico e brutto. Qualcuno gli dice cosa fare,un altro lo fa credere capace, alla fine lui si crede non canarino ma rapace. Il canarino è come il falso principe delle tenebre, che ride con l'arciere, che scaglia le frecce e nasconde l'arco.
Oggi non ho voglia di tante foto,quello che avevo da urlare nella mia rabbia l'ho già detto,chi ha voluto capire ,mah,poteva farlo.Diciamo che c'è chi non ha capito cosa è per me l'amore,diciamo che c'è chi lo ha capito e sa cosa intendo e questo mi basta.C'è chi vorrebbe che sparissi,c'è chi pensa che io sia il vedicatore mascherato.Lascio a dire a Oren la sua"Sparatemi,ma siate sicuri di ammazzarmi". Ora dormi Oren,addormentati con Cynderella sulle spalle.
C'è una locanda là in quella parte della luna che è nascosta alla luce del sole.Tra il silenzio e le tenebre di quella terra baciata da un dio minore. Una piccola costruzione di legno. Appena apri la porta vieni invaso dalla musica che giunge alle orecchie tra il vociare della folla che frequenta quel luogo. Boccali di schiumante birra adornano i tavoli e vari gruppi di persone si ritrovano a parlare,a snocciolare storie,a spargere la propria anima sui banchi di legno.C'è chi ascolta,chi non tace mai. C'è un vecchio,veramente lontano negli anni,che spesso ha attorno a se buona parte della folla.Tutte le notti,come se qua su questa parte della luna toccasse il giorno,racconta la sua storia. Ormai tutti i partecipanti la conoscono a memoria,ma continuano lo stesso ad ascoltarla e ad emozionarsi a quelle parole. Tra quella gente,tra coppie nascoste dall'ombra a districare i propi giochi di carne,tra maschere vestite a nero artificiale,senza sapere cosa voglia dire,tra gruppi di ignavi alla ricerca del loro destino e semplici uomini che del proprio destino non hanno timore,il vecchio comincia a sgranare le sue parole. Racconta di tanti anni addietro,quando la madre luna decise di madare due dei suoi figli sulla terra. Liberi,così pensava,di ogni pregiudizio,di ogni giudizio,di ogni paura,di ogni tabù,pronti ad ascoltare,ad aiutare,a farsi parte del dolore,a diventare specchio dei desideri. C'è un tavolo in questa locanda,che il vecchio indica agli ascoltatori.Sempre libero.Nessuno mai lo occupa. E' un simbolo,quello del ritorno dei due dal loro viaggio.Là si siederanno.Tra di loro non ci saranno parole.Basterà uno sguardo. Porteranno con se il dolore del mondo,il suo egoismo,il dare per avere,quelle forme di falso amore che ci fanno capire che si hanno sempre secondi fini in tutto. E la consapevolezza che le persone non cambiano.Che possono vestirsi di costumi,di maschere,cambiare addirittura il colore della pelle,ma quella che è la loro essenza,giusta o sbagliata che sia rimane sempre la stessa. Fra di loro a quel tavolo ci sarà un sorriso. Amara coscienza del male di vivere,di tutte le falsità di cui ci si veste per ottenere per se stessi. E tra un pubblico a bocca aperta,con le lacrime agli occhi per l'umana certezza indicherà ancora quel tavolo e la mancanza del ritorno che potrebbe liberarli tutti da quell'aria pesante che si respira in quella locanda,che riserva la piano di sopra anche una stanza.Mai usata,in attesa,del ritorno dei figli della luna,quelli nascosti alla luce del sole.
Favoliamo. Perchè di maschere non ho bisogno.
domenica 26 luglio 2009
Seduto ancora in questa stanza.Accarezzo il mio mento con le lame e ti guardo. Silenzio. Mi guardi. Silenzio. Tu custode delle chiavi di questo affascinante inferno che lascia scorrere i suoi gemiti,le sue grida,le lascia cadere sulle nostra pelle,ci contorce lo stomaco. Sono in piedi. Di fronte a te. Sorriso in entrambe. Occhi negli occhi. La mia rabbia. Il tuo desiderio. E' così che mi desideri. E' così che ti bramo. Col dolore che fa parte di noi. Che ora veste la nostra nuda carne. Che arma le nostre mani di taglienti lame.
Aneli la chiave,l'ultima. Quella che ti ho rubato. Bramo la tua anima e ogni suo dettaglio. Sensazioni, emozioni. Vivere per... morire per... che importa che differenza fa per noi. Dolce danza dei sensi, le lame sguainate, i corpi eccitati, umidi, forti, tu che muori per il mio dolore, io che cado per il tuo. Il mio petto è pronto, allarghi le braccia per ricevermi. Non è ancora il momento, affondo le labbra nelle tue coi tuoi artigli nelle mie spalle, entro in te potente con tutto me stesso, tu sei in me. Mischiamo le carte, tre sono uscite non le dimentico. Toc toc Batto banco Giochiamo ancora?
Sssst.... ...poi passa.
sabato 25 luglio 2009
Questa notte ho portato con me la chitarra, l'ho legata a Pippi, perfetta simbiosi, spesso stesso suono. Tra le dune, là dove non potrei essere con la moto, ma ormai la sabbia ha i miei solchi.
Ho voluto incontrare quel pezzo di legno in balia delle onde, che lascio che avvolgano il mio corpo, i miei pensieri, il mio cuore. Ho cominciato a suonare e mentre le mie dita pizzicavano il bronzo delle corde, sentivo il tuo tocco sulle mie spalle. E il nero suono della cassa si mischiava col canto del tuo sax. Sorridevo, canticchiando "La fiera dell'est" dove mio padre un topolino comprò. "Scusi quanto costa un sorriso?" "..eccone un altro.Dipende a quanto sei disposto a spendere." "Anche la mia vita." "Perchè il mio cedere è la sua morte, il suo cedere la mia debolezza" "In piedi allora.Spalle a spalle.Nervi tesi e pugni chiusi. Non chiedo altro."
E la musica appoggiava le sue note nel vento, il suono di un blues , che non confondeva più il soffio di un'ancia con il vibrare di corde. Ho appoggiato la chitarra sulla sabbia, di questa ho riempito le mani, con una costruivo castelli in aria, con l'altra lasciavo scendere il tempo della clessidra quello che ti tiene legata alla vita, quello che ti difende. E sono entrato nell'acqua, verso quel pezzo di legno, come immergermi su di te nella vasca, ora occhi negli occhi, la chiave tra il tuo seno e il mio petto, sai che le mie parole sono vere. Un bacio. Lascia che prendano un pò di materia. Nell'acqua un sorriso rosso come il nostro sangue, nero come l'anima.
Toc,toc! Toc,toc! Non sto battendo banco stavolta o lo sto facendo sulla porta di casa tua. So che sei li dentro e dove altro potresti essere? Sai che posso entrare quando voglio,anche se la chiave che posseggo non è di questa porta,ma dell'ultima.Sai che posso entrare anche là e poi uscirne,basta volerlo,basta avere una ragione per tornare ogni volta,la mano di tuo figlio che ti cerca,la voce di chi ami che ti chiama. Allora apri questa porta. Voglio parlare con te. Toc,toc! Puoi decidere per te di non farmi entrare,ma non puoi decidere per me di non farlo.Qua non si calpesta il rispetto,l'inferno è aperto a tutti,a chiunque voglia entrarvi e normalmente attrai col tuo fascino perverso, con la tua lingua di odio che attanaglia,perchè la gente ti desidera.Perchè per odiare occorre una forza diversa che per amare,anche se i sentimenti viaggiano sullo stesso filo e basta poco per confonderli.
Lo sai,la mia diplomazia è inesistente e penso che quel poco che ho dato sino ad ora sia il massimo che potevo,quindi entro,senza divelgere la porta,la voglio richiudere alle mie spalle a più mandate possibili. Bene,in questo stanza,in questo girone non ci sei anche se si sente il tuo odore,quello che penetra nelle narici,che arriva dritto al cervello,quello che stringe l'anima con le sue unghie facendola tremare a volte di paura,altre di desiderio,ma più spesso di desiderio di paura. E' inutile che continui a cambiare stanza,prima o poi ti raggiungo,perchè non vuoi parlare con me?Perchè non sono trippa per gatti?Perchè non ho timore?Perchè non abbassero ne distoglierò lo sguardo? Eppure sei un grande oratore,le tue parole suonano armoniose nel loro dissacrante suono. Si muovono come tentacoli,carpendo anime,facendole tue,togliendoli la lucida dignità di un uomo,sono eccitanti,conturbanti,sensuali,accativanti e maledettamente vive. Eppure qua in questi gironi si sentono lamenti del senno di poi,di chi ha fatto scelte senza pensarci,di chi le ha fatte accecato dalla follia,di false promesse,di montagne di egoismo su cui cresce rigoglioso il male del mondo. In quel profumo di asfalto,che ha fatto della mia rabbia un segno del carattere di cui puzza ancora la mia pelle sui contorni delle cicatrici bagnati dal pianto,mentre il tuo ghigno è spento rispetto al mio. Quanto devo camminare perchè tu ti fermi?Lo sai che oltre alla diplomazia mancavo alla lezione della pazienza.E quella sale,aumenta la velocità di tutto,mi rende diretto,fatico a girare intorno ,preferisco solcare la strada e i marciapiedi usarli per colorare il mio cuore nei suoi dettagli e nelle mille sfacettature. Non mi avvicinerò se non lo desideri,ma almeno fatti vedere e dire che la tua immagine è superbia e che basta un tuo gesto,un tuo allargare le braccia ,un tuo sguardo per carpire.Hai paura di non riuscire a fare ciò con me? Perchè? Perchè so cosa voglio?Perchè esco ed entro quando voglio?Perchè scelgo?Perchè attiro ciò che mi attira?Perchè non tremo quando mi avvicino? Il limite pazienza è esaurito.Ora mi siedo in questa stanza ad aspettarti.So che mi stai guardando,che stai caricando il tuo odio su di me,quanta fatica inutile.Sai che non fuggo e che dopo ti chiederò ancora e poi giochi nuovi,matasse da sbrogliare,lame nuove da assaggiare,che non cercherò aiuto e poi in chi?E vedrai ancora i solchi della mia moto lungo le strade dei gironi e la polvere che si alza e sentirò ancora il tuo sguardo abbassarsi,il tuo egoismo perdente stavolta,perchè non sarò mai tuo.Tu dai spunti,ma io batto banco e ogni volta che tornerò,ti nasconderai. E forse pregherai anche Dio che non torni.E sarò sulla tua ombra che ombra non è,sarò nei tuoi incubi mentre sei sveglio,conficcherò gli artigli nel tuo cuscino ogni notte che vorrò,perchè io non sono migliore di te,perchè se è vero che non credo in Dio è che il mio Dio è solo me stesso,questa è la tua condanna,ammesso che io sia il mio Dio sono anche il mio Satana.
Osservo il tuo viso, il nero dei tuoi capelli che contrasta col colore della tua pelle, levo gli occhiali in silenzio, avvicinando le mie labbra. Tocco di pelle bianca che scende sulla tua fronte portando con se il desiderio, il tuo odore che penetra, il tuo sapore tra le labbra, che allargano i loro silenzi contorcendosi nelle mie. Le lascio aperte, sospiranti, mentre l'anima anela il calore della mia bocca sul collo e l'orlo tessuto della maglia si sposta scoprendo le tue spalle, offrendo i tuoi seni nel loro pallore alle mia vorace e rssa bocca. Pelle bianca, che trasporta l'increspatura dell'essenza dove il petto incontra il tuo cuore, dove la lingua la spande sul ventre, mentre il tuo capo si china sul collo e le tue mani stringono il mio.
Pelle bianca, che si confonde al contrasto di stoffe, che scoprono creste frastagliate di te, che di gocce calde danno presenza e il rosso si accende in movimenti accoglienti, in un fragile tremare di carne. Pelle bianca, dal riflesso dannato dei sensi, dal profumo di arancio presente, dove rosse scie seguono il mio percorso, che si stringe sui fianchi, che allarga il piacere di essere mia, il desiderio di te che è in me, di sentirmi presente, di rapire ogni dettaglio, di colmare ogni bisogno. Pelle bianca, scossa dai tremiti di un pugno infuocato, che stringe la tua anima sino a rapirla che allarga le dita sino a colmarla, che spande il tuo succo lungo le cosce, che riflette del nero la luce. Pelle bianca, che si appoggia sulle mie spalle, con la sua coperta di calore, che si fonde nella schiena senza rumore, mentre i tuoi denti afferrando i miei lobi chiedono ancora....
Lo abbiamo sempre detto che amre è soffrire. Vero Oren? Ma la tua follia non ha limiti. Si perde ,si fa disperdere,anche se compresa,capita. Ma è follia.E come la libertà,che ha come limite il rispetto deò prossimo,devi avere come limiti il bene di chi ami. "Fare il bravo" La paura più grande rimane sempre quella di perdersi, ma tu sei Oren e nessuno ti ha mai detto questo. Troppo dolore in questo momento,tutto comprensibile. Eppure per la seconda volta sei uscito dall'acqua sotto la cascata, da quella che hai desiderato come la tua tomba. Un pensiero. Una voce. Una mano. Il leggero tocco di una spalla. E la consapevolezza di condividere tutto, anche il dolore. E la stupidità tua di avere visto chissà che nell'abbassare uno sguardo. Un sorriso. Una risposta desiderata. Il pianto. Ciò che vedi. Elargito a spezzoni irritanti. E la rabbia tace. Parole. Parole che hanno uno sguardo. Un suono che tocca l'anima. Tra le mani un fiore strappato tra l'erba risalendo la follia. Sfogliare di petali, tra la luce dell'alba. Ancora parole sul calice spoglio sorretto dallo stelo chestringe la mano. Ancora parole tra quei tre puntini che sembrano stami e accennano un bacio.
lunedì 20 luglio 2009
Rumore di tegami che strisciano il loro acciaio. Le tue gambe ciondolano dal banco. Sento i tuoi occhi su di me.La vaniglia si mischia la latte prendendo calore. I tuoi occhi seguono il rosso dell'uovo che dalle mie mani cade nella boulle,mentre la chiara sporca le mie dita. Zucchero. Metto a mollo fogli do colla di pesce guardandoti mi avvicino. Le labbra si uniscono. Con le dita risalgo la coscia. Scosto l'elastico delle mutande. Punto sulla tua pelle,sulle tue pieghe. Delimito la tua rosa. Scavo il suo calore. Lo spargo su di te, mentre ti gonfi. Afferro. La lingua sprofonda nella mia bocca. Il latte bolle. Frusto a crema tuorlo e zucchero. Lo mischio al latte. Mentre allarghi le gambe sognando la potenza della frusta che sbatte. Mi giro sull'acqua bollente. A bagnomaria immergo il tegame menando con un cucchiaio. Sei dietro di me. Sudo al vapore. I tuoi seni spingono sulla schiena. Le tue mani mi cercano strisciando il tuo sesso bollente su di me. Giro il mestolo,mentre tu con la mano tiri la mia pelle che è marmo e la ricopri. Tolgo il tegame dall'acqua. Immergo una mano nella colla di pesce. Gelatinosa.tiepida. E l'altra è dentro di te. Gelatinosa,rovente. Mischio la colla. Ora deve raffreddare.
Mentre la mia lingua spazza le tue labbra e scende nel tuo piacere afferrandolo tra i denti. Prendo la panna. La verso nello sbattitore e la tua bocca mi divora. Ansimo. Sospiri. Ti prendoper i capelli. Lo sbattitore parte di potenza. Seduta sul tavolo. Tiro i tuoi capelli indietro. Entro in te,mentre le mie dita predano la tua rosa. Lo sbattitore incalza. Monta. Tremi. Vieni. Porto la mano alla mia bocca,mentre un rivolo di me sorga da te. Mischiamo insieme il composto. La panna. I nostri umori.
E ora mentre si rapprende... ricominciamo. Ancora.....
L'altra notte sono andato al mare. Il vento mi attirava. Terribilmente forte. Carico di nuvole dannate. La sabbia prima della pioggia volava infrangendosi sul mio corpo, lo graffiava. L'onda era bassa tenuta schiacciata dal vento.
Pensavo lo fossero anche i miei pensieri. Ma il suono dell'acqua, il riflesso bianco della spuma delle onde, il vento che portava il tuo profumo, il tuo sguardo, le tue parole nel silenzio. Sono tornato stanotte e poi ancora.
Perchè è la che ti incontro. Sulla riva attendiamo l'onda, mentre i piedi si avvolgono di sabbia sprofondando, quando ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo, ogni odore è vento. E un tuo bacio lo è. Amo la tempesta. "Ti aspetterò sulla spiaggia col vento fra i capelli" Alzo il tuo mento con un dito "Ti aspetterò sulla spiaggia col vento tra i capelli" Occhi negli occhi. "Ti aspetterò sulla spiaggia col vento tra i capelli" Sciogliendo ogni parte di noi. "Ti aspetterò sulla spiaggia col vento tra i capelli" Dannatamente forte ... Tempesta.